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“[…] Chi cerca nella libertà altra cosa che la libertà stessa è fatto per servire […]” (Alexis de Tocqueville)
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12 maggio 2012
Lettera sull'astensionismo elettorale
Cari amici e caricompagni, il consenso deisudditi è indispensabile per il mantenimento anche di un regime antidemocraticoe illiberale. La sottrazione del consenso, alla fine del secolo scorso, daparte dei sudditi dell’URSS, ha avuto come conseguenza il crollo del regimecomunista. Perciò il consenso èindispensabile per la sussistenza di qualsiasi regime politico, figuriamoci perun regime che si dichiara democratico anche se sostanzialmente antiliberale. Il dato piùsignificativo delle elezioni amministrative svoltesi domenica e lunedì 6 e 7maggio è il numero di elettori che si è astenuto, non recandosi a votare. Unosu tre ha rifiutato l’offerta proposta dal sistema politico, non inserendo lascheda nell’urna. A parte il fatto che è un diritto andare a votare e quindi siha il diritto anche di non votare, in Italia, ove vige una normativa che imponeil “dovere morale” di esprimere la propria volontà solo inserendo la schedaelettorale nell’urna, il dato dell’astensione è quello che misura lo stato disalute del regime. L’alto tasso di astensione significa che sempre piùcittadini sottraggono il loro consenso al regime. Non ci uniamo alcoro di coloro che vedono nel successo dei “grillini” il sintomo della crisidel regime: il voto alle liste dei “grillini” è stato di quanti, insoddisfattidei partiti tradizionali, hanno voluto esprimere un voto di protesta. Un po’come hanno fatto molti in passato sostenendo la Lega, la Rete o Italia deiValori. Visto come si sono ridotti - il loro antagonismo si è ridotto ad unsostanziale consenso al regime (ad esempio il successo del sindaco leghistaTosi a Verona e il successo di Leoluca Orlando ex La Rete ed oggi IdV aPalermo) – il voto ai “grillini” è un consenso al regime (anche se manifesta undissenso sterile sia nei confronti della maggioranza governativa e sia neiconfronti delle opposizioni parlamentari rappresentate da Lega e IdV). Inrealtà a quarant’anni di regime senza Grillo potrebbero succedere altriquarant’anni di regime con Beppe Grillo e i suoi amici. Il che significa chetutto potrebbe sembrare che cambi ma in realtà non cambierebbe nulla. Non siparla di terza repubblica quando ad agonizzare è ancora la prima repubblica,quella postfascista? Perciò l’astensioneè il segnale più importante della crisi del regime. Che l’astensione siail segnale più importante è provato, ulteriormente, dal tentativo diminimizzare questo fenomeno, da parte della stampa di regime, esaltando, almedesimo tempo, il “boom” di Beppe Grillo. Ci mancava anche l’infelice battutadel Presidente Napolitano (“l’unico boom che ho visto è stato quello economiconegli anni sessanta”) che ha permesso a Beppe Grillo di replicare e avere unulteriore pubblicità gratuita (non del tutto disinteressata da parte delregime). Dovremmo esseresoddisfatti. E’ un decennio che predichiamo la necessità di sottrarre ilconsenso al regime con l’astensione quale premessa indispensabile ad unapossibile rivoluzione liberale. Questa Italia così com’è non ci piace, si èdetto ripetendo la dichiarazione di Giovanni Amendola nei confrontidell’italietta giolittiana che avrebbe prodotto il regime fascista! No, non siamoaffatto soddisfatti, anzi siamo preoccupati perché vediamo dei segnalipreoccupanti da parte dell’establishment, che sembra deciso a scegliere uncampo di lotta per difendere lo status quo. Ricordiamoci che la “forza -violenza legale” è monopolio dello stato. La rivendicazione di terroristidell’attentato al dirigente dell’Ansaldo e le manifestazioni popolari neiconfronti di Equitalia sono pessimi segnali della rottura dell’ordine pubblico.Erano inaspettati? Ma se i governanti hanno pubblicamente dichiarato cheprevedono forti scontri sociali? Ma cosa hanno fatto per prevenirli? Cosasignifica far tirare la cinghia ai contribuenti e non stringerla per lo statose non contribuire a farli scoppiare? Questa Italiapartitocratica potrebbe produrre un nuovo fascismo. E’ l’autobiografia dellanazione di gobettiana memoria che ci preoccupa. L’intransigenza deveessere associata alla ragionevolezza, alla prudenza e alla saggezza, perciò nonsi può auspicare la crisi del governo Monti perché conseguirebbe loscioglimento anticipato delle camere il che aggraverebbe ulteriormente sia lacrisi politica che la crisi economica in un vuoto di alternativa riformatrice.E in politica i vuoti non sono tollerabili, per cui sarebbero riempiti daavventuristi più congeniali alla tradizionale storia italiana antiliberale. Occorre un soggettoriformatore di liberali e democratici che sappia interpretare il dissenso. Manon basta aggregare persone più o meno disinteressate che vogliono impedire dicadere dalla padella partitocratica nella brace di un nuovo fascismo. Occorreavere un programma politico, perciò insistiamo sulla proposta originariasostenuta anche dalla microassociazione Veneto liberale: a) l’alternativapresidenzialista, federalista, maggioritaria, anglosassone, b) lotte liberisteper la liberazione del lavoro e dell’impresa, c) lotte antiproibizioniste nonsolo sulla droga, ma anche sulla libertà terapeutica e di ricerca scientifica. Naturalmente occorretempo: il tempo a nostra disposizione è teoricamente di dodici mesi. Non so sesarà sufficiente, ma occorrerà fare qualcosa. Dovremmo ridar voce a qualchenucleo liberale. Sarà flebile ma potrebbe unirsi ad altre voci affinché inautunno possa essere ascoltato un coro riformatore. (bl)
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20 aprile 2012
….A RUOTA LIBERA
ALESSANDRO TESSARI “RACCONTANDOPANNELLA” Mimesis, Milano - Udine 2012 Cresciuto nel Veneto, l’autore è stato docente all’Università di Padova e attualmente fa ricerche, presso la facoltà Teologica dell’Università di Freiburg, sulla figura del francescano Ramon Llull, padre della lingua catalana. E’stato per quasi un decennio deputato al Parlamento Italiano per il PartitoComunista, provenendo da una esperienza nella FUCI, per poi rimanere affascinato da Marco Pannella e diventare deputato eletto nelle liste del Partito Radicale. Avere vent’anni negli anni sessanta dello scorso secolo ha significato per l’autore nutrire la passione politica con l’ideologia comunista che rappresentava l’antagonista nei confronti dell’imperialismo capitalistico statunitense. Eppure si fece affascinare dall’amerikano Pannella. “Pannella non è stato uno dei leader della politica italiana. E’ stato un modo nuovo di fare politica, di pensarla,di incarnarla. La sua fantasia era inesauribile.” Tessari così si descrive: “Questo essere chiamato Radicale dai Comunisti, e Comunista dai Radicali, in fondo me la sono sempre sentita come la mia radiografia più vera. Insofferente ad ogni camicia. Questo scambio di paradigmi, o addirittura di rottura dei paradigmi, è in fondo la cosa più preziosa che ho ricevuto da Pannella” Oggi, si direbbe, che una identità confusa è un sintomo di debolezza, ma le pluridentità sono il solo modo per comprendere il mondo contemporaneo. Ad esempio essere al contempo liberale, liberista e libertario è il solo modo per comprendere la necessità di opporsi al totalitarismo, al dirigismo e all’autoritarismo che sono le minacce mortali per la libertà individuale. Sono i giovani, quelli che hanno oggi vent’anni, ad essere gli interlocutori diTessari.“Il Pannella di cui voglio raccontare, più che un uomo politico, è una fantasia esistenziale. Perché così l’ho visto comparire sulla scena politica, perché così è entrato nella mia vita, perché così ha scardinato alcuni miei convincimenti profondi e altri ne ha suscitato per reazione.” Oggi Pannella è impegnato in una lotta politica per la Giustizia. Negli anni settanta dello scorso secolo Pannella ed i suoi compagni di lotta, erano impegnati appunto sul fronte della Giustizia. E’ la coerenza di Pannella che prova l’immutabilità del regime e la fandonia della seconda repubblica che sarebbe succeduta alla prima. Tessari ha affermato che Pannella gli ha fatto scoprire un nuovo modo di fare politica e così precisa: “Per i quasi dieci anni in cui fui deputato comunista delle carceri avevo una nozione solo teorica. Una delle prime esperienze forti che feci quando mi imbarcai nell’avventura radicale fu quella di andare a visitare le carceri”. Pensare, fare ed incarnare il nuovo modo di fare politica ha portato alcuni risultati: “La sensibilità dei Radicali per il carcere, come luogo separato della società, come non luogo, dove fino a non molti anni fa non era consentito andare e non si andava, ma dove le società occultano il loro più profondo modo di essere, ha fatto crescere quella sensibilità che dal mondo delle carceri dilaga nellasocietà.” Di qui le iniziative giustizialiste da parte dei detentori del potere per arginare le esigenze libertarie che sorgono dalla società. Di quianche la strenua lotta per la Giustizia da parte dei radicali per alimentare quella fame e quella sete libertaria che la società vorrebbe soddisfare. Il catto-comunista Tessari fattosi radicale è stato affascinato da Pannella come è accaduto al sottoscritto. Sono rimasto affascinato da Pannella perché in lui ho scoperto quel “pazzo” che Giovanni Ferrara, su Il Mondo di Pannunzio, invocavaper il rilancio dei liberali in Italia. Per noi di quella generazione, che aveva vent’anni negli anni ’60 dello scorso secolo, indipendentemente dalle famiglie culturali – politiche di provenienza, è stato un pifferaio magico grazie “ad uncanestro di parole nuove”, come dice Francesco de Gregori in una sua canzone. (bl) INDICE:Introduzione – Parola – Digiuni e nonviolenza – Partito Comunista – Nucleare –Carceri – Droga – Televisione – “Questione Cattolica” – Declino della natalitàin Occidente – Postfazione di Luca Taddio
pannella
radicali
liberali
tessari
| inviato da Venetoliberale il 20/4/2012 alle 16:53 | |
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10 marzo 2012
TUTTI I NO ALL’EUROPA MODERNA
SERGIO ROMANO – BEDA ROMANO “LA CHIESA
CONTRO” Longanesi, Milano 2012
Nel
momento in cui il governo cosiddetto dei tecnici, guidato da Mario Monti,
occupa il posto centrale della scena politica, le questioni legate alla
rivoluzione bioetica e ai nuovi costumi sessuali sono poste sotto un granitico
silenzio.
Questo
libro, scritto a quattro mani da Sergio Romano, storico ed ex ambasciatore
(oltre che firma prestigiosa del “Corriere della Sera”) e dal figlio Beda,
corrispondente per il “Sole 24 Ore” da Bruxelles, rompe il silenzio.
La
rivoluzione dei costumi sessuali e quella biologica o bioetica è avversata
dalla Chiesa cattolica.
Scrive
Sergio Romano: “Se la battaglia contro il
relativismo è la versione moderna di quella contro il modernismo, Benedetto XVI
dimostra che la Chiesa non può ‘essere moderna’. Può venire a patti con gli
stati, vivere con le ideologie che contraddicono i suoi principi, piegarsi come
il giunco al vento della politica ogniqualvolta la posta in gioco è la sua
sopravvivenza. Ma esiste un nucleo di verità, precetti e norme morali su cui non
può accettare compromessi. E’ un
atteggiamento rigoroso e ammirabile.”
Aggiunge
l’ex ambasciatore: “Il guaio, tuttavia, è
che la parola relativismo ha assunto nella nostra società, in tal modo, due
significati diametralmente opposti. Per Benedetto XVI è il continuo fruscio di
idee, teorie e mode intellettuali che svolazzano come falene intorno alla
fiamma eterna della Verità. Per noi è un ingrediente fondamentale della nostra
esistenza. Siamo relativisti perché soltanto il relativismo ci permette di
vivere, senza spargimenti di sangue, con persone che hanno convinzioni
radicalmente diverse dalle nostre. Siamo relativisti perché il relativismo è
sinonimo di tolleranza. Siamo relativisti perché la vita in società richiede la
politica, vale a dire un’arte in cui non possono esistere verità definitive.
Certo potremmo comportarci come molti per cui esistono le verità dei giorni
feriali, necessariamente mutevoli, e la Verità dei giorni in cui conviene stare
con la Chiesa. Ma questo sarebbe il peggiore dei relativismi.”
Si
tratta della convinzione di una persona che non può definirsi estremista,
perciò condivisibile da chiunque si qualifichi moderato.
Il
libro consta di due parti affidate la prima a Sergio Romano e la seconda al
figlio Beda.
La
seconda parte è costituita da una rassegna del dibattito in Europa sui nuovi
costumi sessuali e la rivoluzione bioetica.
Scrive
Beda Romano: “Mentre il continente è
chiamato ad affrontare i difficili problemi etici e morali provocati dal
progresso scientifico o dalla rivoluzione dei costumi, l’Italia appare
arretrata, o meglio …conservatrice. Dall’inseminazione artificiale alla
convivenza di coppia, dalla clonazione terapeutica all’eutanasia, dal trapianto
di organi al celibato dei preti, il dibattito nella penisola è attraversato da
angosce, dubbi e ostacoli, più che in altri paesi europei.”
Beda
Romano propone, quindi, una riflessione: “La
spiegazione più semplice è di attribuire il conservatorismo italiano al
profondo radicamento della Chiesa cattolica nella penisola e all’ingombrante
presenza della Santa Sede a Roma, ma mentre mi accingo a terminare la mia
ricognizione sul modo in cui l’Europa dibatte della modernità mi chiedo
inevitabilmente se vi siano altri motivi per spiegare le molte ritrosie
italiane nell’accettare cambiamenti sociali e possibilità scientifiche spesso
impossibili da fermare, tanto più in un’Europa dove le frontiere nazionali sono
cadute.”
Ma,
forse, la spiegazione dell’unicità italiana nel panorama europeo la dà Sergio
Romano allorché afferma che “In Italia …
la Chiesa non rinuncia a fare battaglie più intransigenti e inflessibili di
quelle che è in grado di fare altrove; e può soprattutto contare su una classe
politica più debole e opportunista di quella con cui deve trattare in altri
paesi dell’Europa cristiana.”
Perciò,
in questo momento di delega del potere politico ad un governo cosiddetto di
tecnici, il silenzio sulle questioni legate alla rivoluzione bioetica e ai
nuovi costumi sessuali è d’oro. Mai il potere politico è stato così debole! E
la politica non consente vuoti. Perciò questo libro ci ammonisce ad essere
vigilanti.(bl)
INDICE:
Premessa – Prima parte: Le trincee della Chiesa – Seconda parte: I nuovi
costumi sessuali e la rivoluzione bioetica
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16 gennaio 2012
Lettera su due "no"
Cari
amici e cari compagni,
i
due no del 12 gennaio scorso, quello della Corte Costituzionale
sull’ammissibilità dei referendum sulla legge cosiddetta “porcellum” e quello
del Parlamento sulla insussistenza del “fumus persecutionis” nei confronti di
un parlamentare, meritano una particolare attenzione.
Comincerò
dal primo “no”.
La
legge n. 352 del 25 maggio 1970 attuativa dell’istituto referendario previsto
dalla nostra Costituzione così recita all’art. 33:
“Il presidente della Corte costituzionale,
ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale che dichiara la
legittimità di una o più richieste di referendum, fissa il giorno della
deliberazione in camera di consiglio non oltre il 20 gennaio dell'anno
successivo a quello in cui la predetta ordinanza è stata pronunciata, e nomina
il giudice relatore.
Della fissazione del giorno della
deliberazione è data comunicazione di ufficio ai delegati o presentatori e al
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Non oltre tre giorni prima della data
fissata per la deliberazione, i delegati e i presentatori e il Governo possono
depositare alla Corte memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste
di referendum.
La Corte
costituzionale, a norma dell'articolo 2 della legge costituzionale 11 marzo
1953, n. 1, decide con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio, quali tra
le richieste siano ammesse e quali respinte, perché contrarie al disposto del
secondo comma dell'articolo 75 della Costituzione.
Della sentenza è data di ufficio comunicazione
al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente
del Consiglio dei Ministri, all'Ufficio centrale per il referendum costituito
presso la Corte
di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla
pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo
della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”
Quindi
in base alla normativa vigente nessuna interferenza dovrebbe sussistere tra la
richiesta di abrogazione della normativa ritenuta inopportuna e la decisione di
ammissibilità dei quesiti referendari. Infatti il dato numerico (nel caso di
specie ben un milione e duecentomila elettori) incide sul giudizio di
legittimità e non sul successivo e conseguente giudizio di ammissibilità. In
questo caso saranno altri i criteri che guidano il giudizio. Saranno i criteri
stabiliti dalle norme costituzionali e/o da altre leggi o prassi. Innanzi tutto
dovranno verificare se le norme in questione riguardano materie sottratte alla
procedura referendaria. Verificato che non era così si è proceduto a verificare
se ostassero all’ammissibilità altre leggi o la prassi. Dato che l’obiettivo
esplicitato nel quesito era l’abrogazione della legge elettorale detta
“porcellum” per far tornare in vita (la cosiddetta “reviviscenza”) il
“mattarellum” i giudici della Consulta hanno dovuto dichiarare
l’inammissibilità perché la “reviviscenza” non è prevista in caso di referendum
abrogativo e il “vuoto” legislativo in tema elettorale non è mai stato ammesso.
Quindi nessun attentato ai diritti costituzionali e perciò bisogna considerare altamente
irresponsabile l’appello eversivo di Di Pietro e dell’IdV volto a sollevare la
piazza contro le istituzioni. Dispiace per la delusione degli oltre un milione
e duecentomila elettori ma la responsabilità è ascrivibile tutta intera ai
promotori del referendum: Di Pietro, Vendola e (purtroppo) Parisi.
Per
quanto riguarda l’altro “no” del 12 dicembre quello del Parlamento che ha
dichiarato la “ipotizzabilità in astratto di un particolare accanimento” nei
confronti di un membro del Parlamento si basa su una prerogativa
costituzionale. Ossia l’autonomia dei parlamentari nei confronti della
magistratura. Si tratta della separazione dei poteri insegnataci da Montesquieu!
L’art.
68 della Costituzione oggi in vigore così recita:
“[I] I membri del Parlamento non possono essere
chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio
delle loro funzioni .
[II] Senza autorizzazione della Camera alla quale
appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a
perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti
privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in
esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto
nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto
obbligatorio in flagranza.
[III] Analoga autorizzazione è richiesta per
sottoporre i membri delParlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di
conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.”
Vorrei ricordare che detto
articolo è stato così sostituito dall'art. 1 l. cost. 29 ottobre 1993, n. 3. Il testo
originario recitava:
“[I]. I membri del Parlamento non possono essere perseguiti
per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
[II]. Senza autorizzazione della camera alla quale appartiene, nessun membro
del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere
arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a
perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell'atto di
commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di
cattura. [III]. Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o
mantenere in detenzione una membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza
anche irrevocabile.”
Quindi
il Parlamento non ha né più né meno rispettato la Costituzione
repubblicana. Per carità è opinabile che il Parlamento abbia ipotizzato in
astratto un particolare accanimento nei confronti di un membro del Parlamento,
(ossia il fumus persecutionis) ma la decisione è tutt’altro che sovversiva.
Dal
punto di vista politico c’è da dire che i due “no” hanno tolto due spine allo
spinoso percorso del governo Monti. Non per niente le forze politiche ostili al
governo Monti ne hanno subito le conseguenze: Di Pietro svelando il proprio
volto eversivo e la Lega
dilaniandosi per non aver raggiunto l’obiettivo di indurre il Pdl a far cadere
il governo Monti. Ricordiamoci che entrambe le forze dell’opposizione sono le
uniche che puntano irresponsabilmente alle elezioni anticipate.
Concludendo:
il governo Monti è sorretto da una grande maggioranza che costituisce il
superamento della contrapposizione antiberlusconiani/berlusconiani e i due no
rafforzano il nuovo corso politico. (bl)
Monti
nuovo corso politico
| inviato da Venetoliberale il 16/1/2012 alle 15:29 | |
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9 gennaio 2012
Intervista sul non-governo
“[…] Il sistema produttivo ha dovuto sopportare il peso di
una struttura pubblica che è una cosa indicibile di parassitismo, ossia di alti
costi e improduttività. Quando si è visto che l’economia prosperava, che aveva
un po’ di grasso, si è fatto carne da porco. Tutti si sono messi a spendere
nell’apparato pubblico, credevano che quel benessere potesse reggere
all’infinito.[…]”
(cfr. UGO LA
MALFA “INTERVISTA SUL NON-GOVERNO” RCS Quotidiani S.p.A.,
Milano 2011, pag. 68)
“[…] La politica che abbiamo condotto da dieci a quindici
anni a questa parte (cioè dal 1962, ndr) ha compromesso l’inserimento attivo
dei giovani nella società. In effetti, per assicurare la continuità
d’inserimento nella società da una generazione all’altra, è necessario che non
si lasci deteriorare fino al limite della disgregazione il sistema produttivo e
che il parassitismo sovrastrutturale non accompagni questo deterioramento. E’
avvenuto esattamente il contrario […] Per dare un’immagine plastica della
condizione attuale, bisogna dire che la nostra società si divide oggi in due
vaste zone. Nell’una, ci sono coloro che hanno un patrimonio, un reddito, un
lavoro, e che sembrano voler difendere con ogni mezzo e con energico spirito
corporativo quello che hanno. Alla porta di tale zona si affolla l’altra,
costituita da disoccupati, giovani e adulti, da categorie debolissime, da
abitanti di zone depresse. Se le forze politiche e sociali continuano a
occuparsi soltanto della prima zona, secondo i propri interessi politici, di
classe o di ceto, trascurando la seconda, non usciremo dal problema.[…]”
(cfr. UGO LA
MALFA “INTERVISTA SUL NON-GOVERNO” RCS Quotidiani S.p.A.,
Milano 2011 pag. 122)
“una grande amarezza. Ora osservo che non c’è quell’Italia
che avevamo in mente”
(cfr. UGO LA
MALFA “INTERVISTA SUL NON-GOVERNO” RCS Quotidiani S.p.A.,
Milano 2011 pag. 124)
La Malfa
spesa pubblica
| inviato da Venetoliberale il 9/1/2012 alle 15:21 | |
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9 gennaio 2012
BILANCIO DI CINQUANT’ANNI DI LOTTA POLITICA
UGO LA MALFA “INTERVISTA SUL NON-GOVERNO” RCS Quotidiani S.p.A., Milano 2011
Leggere, a trentacinque anni dalla sua prima edizione,
queste confessioni di Ugo La
Malfa mi confermano la giustezza della proposta della
radicale alternativa liberale al regime democristiano vagheggiata già negli
anni ’70 dello scorso secolo. Infatti è lo stesso La Malfa (tutt’altro che sostenitore
della radicale alternativa liberale) che conferma all’intervistatore (Alberto
Ronchey) di provare dopo oltre cinquant’anni di lotta politica “una grande amarezza. Ora osservo che non
c’è quell’Italia che avevamo in mente”.
E’ la conseguenza di una feroce autocritica: “La politica che abbiamo condotto da dieci a
quindici anni a questa parte (cioè dal 1962, ndr) ha compromesso l’inserimento attivo dei giovani nella società. In
effetti, per assicurare la continuità d’inserimento nella società da una generazione
all’altra, è necessario che non si lasci deteriorare fino al limite della
disgregazione il sistema produttivo e che il parassitismo sovrastrutturale non
accompagni questo deterioramento. E’ avvenuto esattamente il contrario”.
Non contento di questa autocritica aggiungeva, (ricordiamoci
eravamo nel 1977 e La Malfa
sosteneva il governo democristiano Andreotti IV, cioè il governo sostenuto
dalla DC e dalla SVP e dall’astensione del PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI e
Indipendenti di sinistra e osteggiato solo dal MSI, DP e PR): “Per dare un’immagine plastica della
condizione attuale, bisogna dire che la nostra società si divide oggi in due
vaste zone. Nell’una, ci sono coloro che hanno un patrimonio, un reddito, un
lavoro, e che sembrano voler difendere con ogni mezzo e con energico spirito
corporativo quello che hanno. Alla porta di tale zona si affolla l’altra,
costituita da disoccupati, giovani e adulti, da categorie debolissime, da
abitanti di zone depresse. Se le forze politiche e sociali continuano a occuparsi
soltanto della prima zona, secondo i propri interessi politici, di classe o di
ceto, trascurando la seconda, non usciremo dal problema.”
Dicevo che questa intervista a La Malfa conferma la giustezza
della posizione politica conseguente alla proposta della radicale alternativa
liberale al regime democristiano, posizione politica opposta a quelle del PRI.
Infatti allora il regime “democristiano” era in profonda crisi per cui si aveva
l’opportunità di trasformarlo con la contrapposizione tra conservatori dello
status quo e innovatori. La
Malfa e il PRI (purtroppo non solo loro) ritenevano “inevitabile” il compromesso storico
promosso dal PCI di Berlinguer (che riteneva del tutto “illusorio” che con il 51% dei voti si potesse garantire la
sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51%) con
ciò allineandosi a quella posizione sostanzialmente conservatrice il che
sottraeva utili energie all’alternativa di regime.
Solo i radicali di Pannella, a quel tempo, avevano chiara la
strategia per rendere il regime postfascista in po’ liberale. Senz’altro se
repubblicani e liberali, socialisti e socialdemocratici avessero avuto un po’
di coraggio avrebbero capito “quali
strutture sono necessarie perché una società si sviluppi con le sue energie.”
Infatti in una democrazia liberale una opposizione vigorosa ha un ruolo
fondamentale: un regime con una opposizione debole è definibile almeno
aliberale. E un regime aliberale non sollecita energie per sviluppare la
società.
A posteriori posso capire che i cosiddetti partiti laici non
lo capissero: erano troppo abituati al ruolo che i grandi partiti avevano loro
assegnato e non potevano mettere in pericolo le posizioni raggiunte. Inoltre
tra PLI e PRI era nota una rivalità dovuta più al ruolo svolto (i primi si
comportavano come una “corrente esterna” alla DC, i secondi come “mosca
cocchiera” del centro-sinistra) che alla loro vocazione centrista e moderata.
Oggi ci lamentiamo del debito pubblico grande quanto una
montagna, anzi è il debito pubblico che sta compromettendo addirittura
l’esistenza del nostro stato.
“Il sistema produttivo
ha dovuto sopportare il peso di una struttura pubblica che è una cosa
indicibile di parassitismo, ossia di alti costi e improduttività”. Ricordiamolo
per l’ennesima volta: l’intervista è del 1977! “Quando si è visto che l’economia prosperava, che aveva un po’ di
grasso, si è fatto carne da porco. Tutti si sono messi a spendere nell’apparato
pubblico, credevano che quel benessere potesse reggere all’infinito.” Di
qui l’incremento della spesa pubblica al quale La Malfa e il PRI non sono
stati estranei. Pertanto il politico siciliano faceva il bilancio della sua
cinquantennale lotta politica affermando: resta“ una grande amarezza. Ora osservo che non c’è quell’Italia che avevamo
in mente”. (bl)
INDICE: Prefazione di Paolo Mieli – 1. Dall’antifascismo
alla Liberazione – 2. Il boom arrivò all’improvviso – 3. Le contraddizioni
della società italiana – 4. La crisi: forse è tardi, forse no. – Note – Nota
biografica – Nota bibliografica
La Malfa
spesa pubblica
| inviato da Venetoliberale il 9/1/2012 alle 15:18 | |
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4 gennaio 2012
Inchiesta sul Vaticano
“[…] Vista da vicino la Chiesa sembra la brutta copia di una delle classi
politiche maggiormente screditate dell’intero Occidente. Una vera e propria
casta, come quella dei palazzi del potere romano con cui tratta sottobanco i
suoi privilegi. Ma ancora più ricca e arrogante nel pretendere l’impunità per i
suoi dignitari, degli intoccabili impegnati in un’infinita guerra tra
bande.[…]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 13)
“[…] La gerarchia ecclesiastica cerca di approfittare della
crisi della politica. Per recuperare il consenso perduto. Così attacca
frontalmente i partiti. Accusandoli di voler mettere le mani nelle tasche degli
italiani. Però non molla di un centimetro sui suoi privilegi. Ma il gioco è
troppo scoperto. E sulla rete si accende la rivolta. […]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 28)
“[…] Basti pensare che solo l’8 per mille, il fantasioso
meccanismo attraverso il quale lo Stato assegna ogni anno alla Chiesa una quota
delle tasse versate da contribuenti in buona parte ignari, ha superato di
slancio la vertiginosa cifra di un miliardo di euro, vale a dire quasi quattro
volte il valore del finanziamento pubblico (285 milioni nel 2010) che i partiti
hanno graziosamente deciso di auto-elargirsi. […]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pagg. 32-33)
“[…] I vescovi bacchettano i bottegai che non pagano le
imposte. Ma poi non guardano in casa loro. Dove l’elusione dell’Ici sugli
immobili usati per le attività commerciali è stimata in almeno 700 milioni.
Grazie ad una legge davvero balorda. Voluta dal centrosinistra. E finita nel
mirino di Bruxelles […] Con il mostriciattolo partorito da Prodi, infatti,
qualunque gestore di ostello sia in grado di ricavare una cappella da uno
sgabuzzino in disuso può sostenere di non limitarsi a offrire ai suoi clienti
un semplice ricovero per la notte. Ed evitare così di versare l’odiato
balzello.
A quel punto, e su iniziativa tanto per cambiare dei
radicali, che saranno pure un po’ monomaniaci ma almeno non difettano di
tenacia, la pratica ha traslocato nei severi uffici della Ue. […]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pagg. 75-77)
“Il Vaticano è un
luogo non del tutto pieno di persone oneste”(Monsignor Paul Casimir
Marcinkus)
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 111)
“[…] La
Chiesa sapeva benissimo che tra i suoi preti si annidava un
esercito di maniaci sessuali. La prova regina, misteriosamente ignorata dalla
stampa, è nelle polizze assicurative stipulate dalle diocesi di mezzo mondo
contro il rischio-pedofilia. Che spesso le compagnie si sono rifiutate di
onorare. Invocando l’omesso controllo. E vincendo le cause. […]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 145)
“[…] Il caso (l’affaire Boffo ndr.) aveva portato
definitivamente allo scoperto la rivalità tra il segretario di Stato (Bertone)
e il presidente della Cei Bagnasco, sulla titolarità nella gestione dei
rapporti politici del Vaticano. […]”
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 180)
“Nell’insieme si
conferma una crescente indifferenza al modello di famiglia proposto dalla
Chiesa cattolica e si nota la sempre maggior diffusione di un modo alternativo
di vivere il privato” (dal VI Rapporto sulla secolarizzazione italiana –
Cgil e Fondazione Critica liberale)
(cfr. STEFANO LIVADIOTTI “I
SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA Milano 2011. pag. 216)
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4 gennaio 2012
LA CASTA DELLE SOTTANE
STEFANO LIVADIOTTI “I SENZA DIO” Bompiani/RCS Libri SpA
Milano 2011
L’autore, Stefano Livadiotti, scrive su “L’Espresso” da
venticinque anni occupandosi di economia e politica. Ha già dato alle stampe
una inchiesta sui sindacati e sui magistrati individuando altre caste oltre a
quella stranota dei politicanti. Con questa inchiesta sul Vaticano segnala la
casta delle “sottane”. Diciamolo: le corporazioni che il fascismo realizzò
sulla carta, oggi regolano la società italiana e trovano tutela dei propri
privilegi nelle istituzioni. Così i cittadini senza potere sentono l’ostilità
dello Stato.
Scrive Livadiotti: “Vista
da vicino la Chiesa
sembra la brutta copia di una delle classi politiche maggiormente screditate
dell’intero Occidente. Una vera e propria casta, come quella dei palazzi del
potere romano con cui tratta sottobanco i suoi privilegi. Ma ancora più ricca e
arrogante nel pretendere l’impunità per i suoi dignitari, degli intoccabili
impegnati in un’infinita guerra tra bande.”
“La gerarchia
ecclesiastica – si legge in questa inchiesta – cerca di approfittare della
crisi della politica. Per recuperare il consenso perduto. Così attacca
frontalmente i partiti. Accusandoli di voler mettere le mani nelle tasche degli
italiani. Però non molla di un centimetro sui suoi privilegi. Ma il gioco è
troppo scoperto. E sulla rete si accende la rivolta”
Nota è la recente polemica sull’esenzione dell’Ici per gli
immobili, utilizzati per attività commerciali, riferibili alla chiesa
Cattolica.
“I vescovi bacchettano
i bottegai che non pagano le imposte. – ricorda Livadiotti . – Ma
poi non guardano in casa loro. Dove l’elusione dell’Ici sugli immobili usati
per le attività commerciali è stimata in almeno 700 milioni. Grazie ad una
legge davvero balorda. Voluta dal centrosinistra. E finita nel mirino di
Bruxelles … Con il mostriciattolo partorito da Prodi, infatti, qualunque
gestore di ostello sia in grado di ricavare una cappella da uno sgabuzzino in
disuso può sostenere di non limitarsi a offrire ai suoi clienti un semplice
ricovero per la notte. Ed evitare così di versare l’odiato balzello.
A quel punto, e su
iniziativa tanto per cambiare dei radicali, che saranno pure un po’ monomaniaci
ma almeno non difettano di tenacia, la pratica ha traslocato nei severi uffici
della Ue.”
La chiesa Cattolica non solo elude le tasse ma se ne
avvantaggia. “Basti pensare che solo l’8
per mille, il fantasioso meccanismo attraverso il quale lo Stato assegna ogni
anno alla Chiesa una quota delle tasse versate da contribuenti in buona parte
ignari, ha superato di slancio la vertiginosa cifra di un miliardo di euro,
vale a dire quasi quattro volte il valore del finanziamento pubblico (285
milioni nel 2010) che i partiti hanno graziosamente deciso di auto-elargirsi. ”
Monsignor Marcinkus, uno che se ne intendeva, affermava che
“Il Vaticano è un luogo non del tutto
pieno di persone oneste”. Di qui le guerre per bande poco sante. Scrive
Livadiotti: “Il caso (l’affaire Boffo
ndr.) aveva portato definitivamente allo
scoperto la rivalità tra il segretario di Stato [Bertone] e il presidente della
Cei Bagnasco, sulla titolarità nella gestione dei rapporti politici del
Vaticano.”
Inoltre non si può far passare sotto silenzio lo scandalo
pedofilia. “La Chiesa sapeva benissimo che tra i suoi preti si
annidava un esercito di maniaci sessuali. La prova regina, misteriosamente
ignorata dalla stampa, è nelle polizze assicurative stipulate dalle diocesi di
mezzo mondo contro il rischio-pedofilia. Che spesso le compagnie si sono
rifiutate di onorare. Invocando l’omesso controllo. E vincendo le cause.”
Oggi solo una minoranza si fida ancora della chiesa
Cattolica perché scandali, politica, beghe di potere hanno innescato il
declino.
Infine il VI Rapporto sulla secolarizzazione italiana messo
a punto dalla Cgil e dalla Fondazione “Critica liberale” constata: “Nell’insieme si conferma una crescente
indifferenza al modello di famiglia proposto dalla Chiesa cattolica e si nota
la sempre maggior diffusione di un modo alternativo di vivere il privato”
Aspettiamoci, perciò, una forte reazione del movimento
sociale cattolico che potrebbe dar vita ad un unico soggetto politico raccogliendo
i clericali oggi sparsi un po’ dappertutto. (bl)
INDICE: L’ora delle scuse – Introduzione – I lingotti del
papa – Le relazioni pericolose – Lasciate che i bambini vengano a noi – Una
guerra poco santa – Radiografia di un declino – Ringraziamenti – Bibliografia –
Indice dei nomi.
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22 dicembre 2011
LEZIONI DI DEMOCRAZIA
NORBERTO BOBBIO “QUALE SOCIALISMO?” RCS
Quotidiani S.p.A., Milano 2011
“La democrazia … non è riuscita a mantenere le proprie promesse, che
erano soprattutto di tre ordini: partecipazione … controllo dal basso … e
libertà del dissenso. … Si sono verificati due fenomeni contrastanti al
principio proclamato della partecipazione diffusa: da un lato, l’apatia
politica, che è mancanza di partecipazione … dall’altro la partecipazione
distorta o deformata o manipolata dagli organismi di massa che hanno il
monopolio del potere ideologico. Il controllo diventa sempre meno efficace …
con la conseguenza che gli organismi che il cittadino riesce a controllare sono
centri di potere sempre più fittizi e i vari centri di potere di uno stato
moderno, come la grande impresa, o i maggiori strumenti del potere reale (come
l’esercito e la burocrazia), non sono sottoposti ad alcun controllo
democratico. … Quanto al dissenso, esso è limitato in un’area ben circoscritta
… e non offre mai la possibilità di un’alternativa (di governo ndr) radicale.”
Norberto Bobbio nel 1973 così descriveva
lo stato del regime “democristiano” (alias
“partitocrazia”). L’anno precedente
per la prima volta la legislatura veniva interrotta prima della sua conclusione
naturale per impedire lo svolgimento del referendum abrogativo sulla legge
regolante il “divorzio”.“partito unico della spesa pubblica”
mirava a comprarsi il sostegno degli elettori scaricando sui governi futuri e sui giovani
(contribuenti futuri) l’onere del riequilibrio finanziario. (Altra
caratteristica del regime!) Le Brigate Rosse, il movimento studentesco e
l’aggressività dei sindacati sembravano scuotere il regime partitocratico dalle
fondamenta. Proprio in quel periodo (1970 – 1975) il debito pubblico (ed oggi
ne paghiamo le conseguenze!) passò dal 38 al 58 per cento del Pil: il "partito unico della spesa pubblica" mirava a comprarsi il sostegno degli elettori scaricando sui governi e sui giovani (contribuenti futuri) l'onere del riequilibrio finanziario.
Per normalizzare la situazione i
partiti di regime proponevano due strategie: l’alternativa (di governo e/o di
sistema) di sinistra (“uniti sì, ma
contro la diccì”) e l’ingresso del PCI nell’area di governo (dagli “equilibri più avanzati” al “compromesso storico”). L’alternativa di
sinistra era una utopia mentre l’ingresso del PCI nell’area di governo sarebbe
stata solo un’operazione conservatrice di sapore trasformistico tant’è che
dette vita alla fase consociativa del centrosinistra.
Bobbio sosteneva fondamentale
prestare attenzione alle istituzioni, piuttosto che alle “formule governative”. Scriveva nell’articolo “Quali alternative alla democrazia rappresentativa?” pubblicato in “Mondoperaio”n. 10 1975: “Il nostro sistema politico fa acqua da tutte
le parti. Ma fa acqua da tutte le parti, non perché sia un sistema
rappresentativo bensì perché non lo è abbastanza. A parte il difetto del
centrismo perpetuo, cioè della mancanza di una rotazione (ossia
dell’alternativa di governo ndr) … l’area
di controllo dell’organismo rappresentativo per eccellenza, il parlamento, si
restringe ogni giorno di più.” In fondo è la posizione gobettiana (“Il regime rappresentativo non ha più il
favore popolare. Ma che cosa volete sostituirgli? La teocrazia?”) quella
che sta a monte delle argomentazioni bobbiane.
L’alternativa socialista al
regime rappresentativo è possibile?
“Bisogna riconoscere – risponde Bobbio – che un modello alternativo
di organizzazione politica, alternativo allo stato parlamentare, un modello che
possa dirsi ‘democratico e socialista’ in contrasto col modello tradizionale
‘democratico liberale’ … non esiste, o per lo meno non esiste in tutta la
compiutezza dei particolari con cui è stato elaborato lungo i secoli il sistema
politico della ‘borghesia’.”
Ed allora qual’è la soluzione?
Bobbio non propone soluzioni. “Il mio
proposito – scriveva in “Quale
socialismo?” pubblicato in “Mondoperaio”n. 5 1976 – era semplicemente quello di
mostrare le difficoltà cui vanno incontro il processo di democratizzazione in
corso (e che, come la nostra stessa esperienza storica ci ha confermato, non è
irreversibile), di confutare, non la democrazia, ma la faciloneria.”
E così Bobbio liquidava le
illusioni dell’alternativa di sinistra fondata sulla “democrazia diretta” e nel contempo spiegava “ai comunisti di allora che cosa sono lo stato, la democrazia, il
socialismo”, come afferma Michele Salvati nella prefazione a questa
edizione del libro del 1976. Salvati aggiunge: “queste dettagliate, brillanti spiegazioni – vere e proprie lezioni
magistrali – valgono anche per noi.”
Valerio Zanone ha affermato che “Bobbio mutua da Cattaneo la regola che ‘la
filosofia è una milizia’,” e di questa sua milizia, noi lettori, dovremmo
farne tesoro. La trasformazione della partitocrazia in democrazia liberale
dovrebbe essere il progetto principale di qualsiasi forza che si definisca
riformatrice. (bl)
INDICE: Prefazione di
Michele Salvati – Prefazione all’edizione 1976 – Democrazia socialista? – Esiste
una dottrina marxistica dello stato? – Quali alternative alla democrazia
rappresentativa? – Perché democrazia? – Quale socialismo? – Note – Nota
biografica – Nota bibliografica
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22 dicembre 2011
Quale socialismo?
“[….] La democrazia […] non è riuscita a mantenere le
proprie promesse, che erano soprattutto di tre ordini: partecipazione […]
controllo dal basso […] e libertà del dissenso. […] Si sono verificati due
fenomeni contrastanti al principio proclamato della partecipazione diffusa: da
un lato, l’apatia politica, che è mancanza di partecipazione […] dall’altro la
partecipazione distorta o deformata o manipolata dagli organismi di massa che
hanno il monopolio del potere ideologico. Il controllo diventa sempre meno
efficace […] con la conseguenza che gli organismi che il cittadino riesce a
controllare sono centri di potere sempre più fittizi e i vari centri di potere
di uno stato moderno, come la grande impresa, o i maggiori strumenti del potere
reale (come l’esercito e la burocrazia), non sono sottoposti ad alcun controllo
democratico. […] Quanto al dissenso, esso è limitato in un’area ben
circoscritta […] e non offre mai la possibilità di un’alternativa radicale.
[…]”
(cfr. Norberto Bobbio “Democrazia
socialista?” in “Omaggio a Nenni” e
in “Quaderno di Mondoperaio” 1973,
ora in NORBERTO
BOBBIO “QUALE SOCIALISMO?” RCS
Quotidiani S.p.A., Milano 2011 pagg. 44-45)
[…] Bisogna riconoscere che un modello alternativo di
organizzazione politica, alternativo allo stato parlamentare, un modello che
possa dirsi ‘democratico e socialista’ in contrasto col modello tradizionale
‘democratico liberale’ […] non esiste, o per lo meno non esiste in tutta la
compiutezza dei particolari con cui è stato elaborato lungo i secoli il sistema
politico della ‘borghesia’. […]
(cfr. Norberto Bobbio “Quali
alternative alla democrazia rappresentativa?” in “Mondoperaio”n.10 1975, ora in NORBERTO BOBBIO “QUALE
SOCIALISMO?” RCS Quotidiani S.p.A., Milano 2011 pag. 90)
“[…] Il nostro sistema politico fa acqua da tutte le parti.
Ma fa acqua da tutte le parti, non perché sia un sistema rappresentativo bensì
perché non lo è abbastanza. A parte il difetto del centrismo perpetuo, cioè
della mancanza di una rotazione (ossia dell’alternativa ndr) […] l’area di
controllo dell’organismo rappresentativo per eccellenza, il parlamento, si
restringe ogni giorno di più. […]”
(cfr. Norberto Bobbio “Quali
alternative alla democrazia rappresentativa?” in “Mondoperaio”n.10 1975, ora in NORBERTO BOBBIO “QUALE
SOCIALISMO?” RCS Quotidiani S.p.A., Milano 2011 pag. 100)
“[…] Il mio proposito era semplicemente quello di mostrare
le difficoltà cui vanno incontro il processo di democratizzazione in corso (e
che, come la nostra stessa esperienza storica ci ha confermato, non è
irreversibile), di confutare, non la democrazia, ma la faciloneria. […]
(cfr. Norberto Bobbio “Quale
socialismo?” in “Mondoperaio”n. 5
1976, ora in NORBERTO
BOBBIO “QUALE SOCIALISMO?” RCS
Quotidiani S.p.A., Milano 2011 pag. 100)
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